Sognando l’Africa

Questa volta uno dei miei famosi sogni strani mi ha lasciata una sensazione permanente, come una nebbiolina che continua ad avvolgermi la testa e a farmi sentire leggera.

Ero in Africa, ma non saprei bene dire dove, anche perché – a differenza delle immagini standard, di grande desolazione e deserto, che vengono subito in mente quando si parla di Africa – tutto intorno a me, ai miei piedi, c’era sempre dell’erbetta verde freschissima. Peccato, però, che gli edifici mostrassero una città decadente – e non solo per i graffiti, che sembravano non risparmiare nemmeno edifici storici, ma anche perché tutto era stato vandalizzato e rotto. Le persone, però, continuavano a vivere un questo caos totale: con un suolo, perciò, bellissimo a vedersi ma che impediva la circolazione di qualsiasi mezzo; con degli edifici che cadevano a pezzi ma che erano ancora costretti a frequentare e ad abitare.

Io ero come una giornalista in quel posto: le immagini che vedevano erano filtrate dall’obiettivo di una piccola telecamera che portavo sempre con me. Inoltre spesso mi fermavo per strada a fare delle foto con i pochi ragazzi o con le poche persone anziane che accettavano di parlarmi e di spiegarmi la situazione. Tutti, infatti, mi odiavano a prescindere perché ero italiana. Appena arrivata lì ero animata dalle più buone intenzioni, ma più stavo lì più il mio animo diventava cupo e comprensivo dell’odio che loro provavano per noi italiani, dediti allo spreco di grandi risorse per bazzecole inutili.

Nell’ultima parte del sogno sono di ritorno in Italia, nel mio paese d’origine. Cammino per le strade, che sono affollate da tante bancarelle – messe lì da quelli che normalmente sono i negozianti del mio paese – per costringere i passanti a interessarsi per forza ad almeno uno dei loro inutili prodotti, dei loro oggetti di scarsa qualità ma dall’aspetto accattivante. Persino la porta di casa mia è sbarrata dalla bancarella di uno dei negozianti, sulla quale sono esposti vestiti e capi di biancheria palesemente di scarsa qualità (sembrano quasi di plastica) ma che vengono presi letteralmente d’assalto da donne di ogni età. Persino io tendo la mano verso un vestito, ma appena ne vedo la foggia mi viene il disgusto.

Il commerciante mi saluta con gioia; mi chiede del mio viaggio e soprattutto se ho visto le navi. Intendeva ovviamente quelle che partono dall’Africa per venire in Italia. Io rispondo molto amareggiata che ho visto anche tante navi che dall’Italia andavano in Africa, ma che venivano respinte con profondo odio.

Mi sono svegliata con una sensazione non fortissima, ma persistente come un profumo molto carico: mi circondo di cose inutili; mi convinco dell’essenzialità di cose estremamente banali. L’unico vero obiettivo sarebbe comprendere tutti ed essere compresi.

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