Ci sono poche cose che si possano definire “una costante” nella vita di un essere umano. Anche le persone a cui vogliamo più bene posso sfuggire a questa definizione, perché potrebbero allontanarsi o, più naturalmente, morire.
Forse qualcuno troverà “una costante” nel proprio lavoro o nella famiglia.
La mia è lo sfratto. Nella mia vita (non così lunga, in fin dei conti) avrò fatto un numero di sfratti tale da far alzare la media nazionale. E non sopporto nemmeno di chiamarli “traslochi”, perché “sfratto” ti da proprio la sensazione che provi quando ti affanni a fare pacchi e pacchetti: devi svuotare tutto per riempire di nuovo, ma da un’altra parte.
Sono arrivata a credere che, oltre a una faticata immane, lo sfratto sia un gesto altamente filosofico: l’unica cosa costante nella vita è che nulla permane.
Come vorrei che fosse solo una questione filosofica e non fisica…
Scusa, ma se parli di sfratto vuol dire che in qualche modo è dipeso da te più che dal proprietario di casa…
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Infatti è così: ho sempre avuto esigenza di dover cambiare, per questioni di lavoro o familiari. Ma la mia non era una lamentela contro i padroni di casa.
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Sfratto è vita!
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