Goccia goccia

In un monastero buddista. Un’enorme sala vuota, drappeggiata blandamente con stoffe multicolori e logore che pendono dalle pareti o sono adagiate sul pavimento. Al centro del tetto un lucernario.

Un monaco sta a gambe incrociate e a occhi chiusi a meditare. La sua mente è totalmente sgombra, rilassata. 

Cade, a un certo punto, una piccola goccia d’acqua dal lucernario e si schianta dolcemente sul pavimento. Il monaco apre di scatto gli occhi e, dopo un momento di disorientamento, li posa su ciò che rimane della piccola goccia. 

Non fa in tempo a vedere asciugare quella che una sua sorella gemella le cade addosso. Il monaco alza gli occhi verso il lucernario: fuori splende il sole e non si intravede, in ogni caso,  nessuna crepa attraverso cui dovrebbe calare giù l’acqua. Ma la logica viene sconfitta dalla terza goccia d’acqua che cade e raggiunge le altre sul pavimento.

Il monaco si alza in piedi e sposta lo sguardo a rotazione tra il lucernario, i drappi appesi alle pareti e le gocce d’acqua a terra. Dovrebbe salire fin lassù a controllare, ma come? Arrampicandosi sui drappi? Non reggerebbero, questo è sicuro. Fatto sta che non è un’allucinazione, le gocce d’acqua cadono davvero; bisogna fare qualcosa. 

Davvero? Bisogna davvero fare qualcosa? 

Il monaco rilassa di nuovo la mente. Va a prendere la sua ciotola per l’acqua e la posiziona nel punto esatto dove cadono le gocce. Ora ogni piccola goccia d’acqua cade nella ciotola di legno, provocando un piccolo tonfo sordo, ma dal suono più caldo rispetto a quello stridulo di quando cadeva sul pavimento. Il monaco torna a sedersi a gambe incrociate e a chiudere gli occhi.

Entra un secondo monaco e osserva la situazione: il suo compare sta tranquillo a gambe incrociate mentre dal tetto gli piove nella ciotola.

– Ma cosa fai?

– Bevo. Berrò quello che mi sarà dato da bere.

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